giovedì 22 novembre 2012

IN SCENA! 2012 - QUARTO CONCERTO


MEDITERRANEO

Nel periodo tra il 1923 e il 1929, durante il quale vide la luce il Concerto per clavicembalo e cinque strumenti, Manuel de Falla si era ampiamente affrancato dall’influenza estetica di Claude Debussy e Maurice Ravel, suoi primi numi tutelari, a favore di una scrittura aspra e scarna, più vicina allo Stravinsky dell’Histoire du Soldat e della Sinfonia per strumenti a fiato, oppure allo Schönberg della Kammersymphonie op.9. Anche l’impiego del clavicembalo (ma il brano può essere tradizionalmente eseguito anche con il pianoforte), suggerito dalla virtuosa Marta Landowska che già prese parte alla prima del Retablo de Maese Pedro, sembra rimandare più alla musica del cinque-seicento che a quella barocca. Il brano è in effetti una riflessione sulla storia della musica spagnola, in un contesto neoclassico: il primo movimento è infatti costruito sul villancico cinquecentesco “De Los Alamos vengo, madre”, il secondo sul “Tantum ergo” di Luis de Victoria, mentre il terzo, unico movimento nel quale la parte del solista reca ornamentazioni tipiche del barocco, come trilli e mordenti, è una rielaborazione di De Los Alamos in chiave scarlattiana.

Plektó, titolo del brano composto dal greco Iannis Xenakis nel 1994, significa “trecce”, in questo caso intese come intreccio contrappuntistico di linee melodiche, ritmi e timbri. Nella composizione, infatti, si assiste via via alla giustapposizione di singole linee melodiche a materiale accordale. In aggiunta, a volte l’ensemble è diviso tra archi e fiati, altre volte il flauto è accoppiato al violino, e il clarinetto al violoncello. Il pianoforte serve da sostegno agli altri strumenti, con le percussioni impegnate a contrappuntarne e in un certo qual modo confonderne la linea ritmica. Come è tipico delle composizioni dello Xenakis più tardo (il compositore morirà infatti nel 2001 a 79 anni), il tempo generale è molto lento, rendendo assai difficile la percezione delle lunghe arcate melodiche. Nel finale, addirittura, ogni esecutore suona ad un tempo differente, ma in precisa relazione ritmica con gli altri strumentisti.

Così scrive Francesco Antonioni a proposito del suo Macchine inutili: “Di solito lo scopo di una macchina è quello di essere un mezzo per semplificare qualcosa: la leva, l’automobile, gli elettrodomestici sono delle macchine semplici oppure molto complicate che ci semplificano la vita. Qualche volta accade che le macchine perdano quasi del tutto di vista il loro scopo e diventino in sé oggetti di grande interesse, come succede alle automobili d’epoca, o ai computer. Progettare invece marchingegni di nessuna utilità pratica, elaborati, e tuttavia senza scopo, è una mansione che, per quanto possa essere per alcuni divertente, sembra priva di senso, e secondo la maggior parte delle persone, rasenta l’assurdo. Solo la bellezza dell’invenzione, da sempre giudicata inutile da chi pensa solo all’atto pratico, può riscattare il suo ideatore dall’ accusa di star sprecando il proprio e l’altrui tempo. Le Macchine inutili sono fra le prime opere del designer Bruno Munari (1907-1998), che in un orizzonte allora dominato dal futurismo italiano e dal surrealismo francese, dette questo nome provocatorio ad alcune speciali sculture sospese in movimento eteree ed evanescenti, cronologicamente antecedenti ma simili a quelle, per la verità più famose, di Alexander Calder. Più che la loro consistenza quasi impalpabile, il titolo e l’idea retrostante di realizzare complessi marchingegni senza scopo apparente ha generato il progetto di comporre una serie di trasformazioni su di un motivo elementare, su cui giocare continue variazioni, e a cui opporre, per contrarietà quasi necessaria, l’entropia, tendente alla stasi, di lente parabole discendenti”.

Il maltese Ruben Zahra così illustra il suo brano Silk road suite per violoncello e percussioni: “ La strada percorsa da Marco Polo verso la Cina è storicamente conosciuta come Via della Seta. Questa suite è divisa in quattro movimenti che tracciano un viaggio musicale dalle spiagge e dai porti del Mediterraneo sino alle antiche città della Cina, oltre la Grande Muraglia. Nonostante la Via della Seta fosse troppo desolata per ospitare grandi popolazioni, piccoli gruppi di predoni riuscivano a sopravvivere assai bene raccogliendo acqua dai pozzi e occasionalmente ingaggiando una vera e propria Caccia nel Deserto per razziare beni e oggetti di pregio dalle carovane di passaggio. Prima di entrare nella città di Chiang-an attraverso la Grande Muraglia, i viaggiatori si trovavano nella fertile valle del fiume Wei, i cui campi sono resi gialli dal loess, la fine polvere che il vento trasporta dalle steppe del nord.”

La musica dell’algerino Salim Dada, compositeur en residence dell’ orchestra francese Divertimento, è un originale mèlange tra il linguaggio della musica classica araba (il compositore è anche un virtuoso suonatore di oud, il tradizionale liuto mediorientale) e le moderne tecniche compositive. L’innovativa fusione dà vita ad una musica innovativa e seducente, dallo sguardo rivolto al futuro. Su Lisse Strié, l'autore cita un brano dal saggio di Manola Antonioli, Géophilosophie de Deuleuze et Guattari, (Paris, L’Harmattan, 2003) a proposito di liscio e striato negli spazi architettonici e ambientali (concetti mutuati dalla fisiologia umana): “Nello spazio striato la misura può essere sia regolare che irregolare, ma è sempre determinata, mentre nello spazio liscio il taglio può essere effettuato dove si vuole. La differenza che separa questi due spazi è complessa: da una parte si tratta di un'opposizione semplice tra due ordini di esistenza (striato e sedentario/liscio e nomade), dall'altra questi due modi di occupare gli spazi esistono in funziono della loro reciproca mescolanza. Lo spazio liscio può sempre divenire striato, lo spazio striato è costantemente ridotto alla dimensione di uno spazio liscio e nomade. In entrambi gli spazi ci sono punti, linee e superfici, ma gli itinerari, le distribuzioni e le popolazioni di questi elementi differiscono.”

IN SCENA! 2012 - TERZO CONCERTO

 
EST

Dal 1977, anno della sua composizione, Fratres, una delle più conosciute creazioni dell’estone Arvo Pärt, è stato oggetto, da parte dell’autore, di moltissime strumentazioni differenti: dall’originale quintetto d’archi si passa, tra le altre, all’orchestra d’archi con percussioni, al quintetto di fiati, all’ottetto di fiati, a dodici celli, a violino o viola o violoncello e pianoforte… Strutturato su otto o nove (secondo l’orchestrazione) sequenze accordali separate da un motivo ritmico ricorrente, il brano è una chiara esemplificazione dello stile denominato da Pärt stesso tintinnabuli (dal latino tintinnabulum, campana), al quale il compositore era giunto dopo uno forte crisi artistica che lo portò, a metà degli anni ’70, a cancellare dal proprio catalogo tutte le opere precedenti Für Alina, prima composizione nel nuovo stile. Derivato dalle influenze della polifonia ortodossa, il tintinnabulum si basa su due voci fondamentali: la prima che arpeggia triadi di tonica e la seconda che si muove diatonicamente per gradi congiunti, donando alla musica un carattere arcaico ed ipnotico.

Musica ricercata, una delle prime opere di György Ligeti (data infatti 1951-53, nonostante la prima esecuzione sia del 1969), vanta il notevole primato, per un brano di musica contemporanea, di essere presente nella colonna sonora di due film di grande successo: Eyes wide shut di Stanley Kubrick (che già utilizzò altre composizioni di Ligeti in 2001: Odissea nello spazio, decretandone così la fama internazionale) e Shutter Island di Martin Scorsese. Nonostante il termine ricercata (o ricercare) si riferisca ad uno stile contrappuntistico, solo l’ultimo degli undici brevi brani per pianoforte solo è scritto in questa forma: di caratteri assai differenti tra loro i pezzi, infatti, testimoniano la ricerca di Ligeti di trovare un proprio originale linguaggio espressivo, e contengono in nuce idee che saranno sfruttate e messe a fuoco nelle composizioni future.

Il ceco Bohuslav Martinu compose la sua Sonatina per clarinetto e pianoforte nel 1956, quando già da tempo abitava negli Stati Uniti, a New York. Strutturata in un singolo movimento con tre distinte sezioni (Moderato, Andante e Poco Allegro), la Sonatina è ricca di ritmi di danza e di marcia, alternati a passaggi più lirici. Il linguaggio, che rimanda al neoclassicismo di Poulenc e Stravinsky riporta il compositore agli anni trascorsi a Parigi (1923-1940), e alla forte influenza che su di lui esercitò il cosiddetto “Gruppo dei Sei” (Auric, Durey, Honegger, Milhaud, Poulenc e Tailleferre).

Al contrario del brano di Martinu scritto in tarda età, il Trio per clarinetto, violino e pianoforte venne ultimato nel 1932 quando Aram Khachaturian era ancora studente presso il Conservatorio di Mosca. Il primo movimento è in stile zingaresco, quasi improvvisativo. Il materiale melodico è spesso ripetuto con ornamentazioni e piccole cadenze, creando un’atmosfera quasi ipnotica. Il secondo movimento inizia come uno scherzo, presto interrotto dall’irrompere di una melodia popolare in un tempo più calmo. I due temi verranno poi combinati, per chiudere ancora con lo scherzo. Anche il terzo movimento è basato su di un tema popolare: una serie di variazioni dello stesso portano al momento culminante, dopo il quale la musica scompare via via nel silenzio.