domenica 21 ottobre 2012

IN SCENA! 2012 - SECONDO CONCERTO



VILLA MEDICI

Roma. Il complesso architettonico che domina la collina del Pincio, affonda le sue radici nella storia antica della Città, attraverso le imprescindibili stratificazioni degli eventi. Il destino di questo spazio è dal 1803 legato all'assegnazione del premio conferito dall'Accademia di Francia ai migliori giovani artisti nelle discipline figurative, architettoniche e musicali. Il Prix de Rome, istituito fin dal 1663 sotto il regno di Luigi XIV, comprende una borsa di studio e il soggiorno annuale presso l'Urbe, con il compito di realizzare un'opera nella propria disciplina. Come spesso accade, è istruttivo osservare in queste circostanze la mutevolezza del destino: quali artisti gratificati dal premio hanno "mantenuto le promesse" e quanti sono rimasti nell'anonimato. Ancora: quanti, esclusi dopo diversi tentativi, hanno trovato solo al di fuori del circolo chiuso dell'accademia visibilità e successo grazie alla forza delle proprie opere. Se scorriamo l'elenco dei premiati non è difficile individuare queste categorie.

Percorreremo un secolo di musica francese attraverso le musiche di alcuni illustri vincitori del Prix. Potrà essere l'occasione per riflettere su come l'istituzione di un premio a carattere nazionale possa più o meno favorire i giovani talenti. Questione ancora oggi attualissima.
 
La Première Rhapsodie per clarinetto e pianoforte fu il primo compito svolto da Claude Debussy in occasione del suo insediamento nel Consiglio Superiore del Conservatorio di Parigi, chiamato dall'allora direttore, Gabriel Fauré nel 1909. Si trattava di comporre due brevi opere per gli esami finali degli allievi di clarinetto: una per la lettura a prima vista (il poco noto Petit pièce) e una per l'interpretazione, intitolato appunto Rhapsodie. Quest'ultimo lavoro, in cui lo strumento solista era affiancato dal pianoforte, sarà orchestrato nel 1911, senza modifiche nella parte del clarinetto. In questo piccolo capolavoro il clima poetico oscilla delicatamente tra il sogno e lo scherzo, secondo gli stilemi tipici del compositore, ormai maturo.

Jacques Ibert era stato vincitore del Prix nel 1919 con la cantata Le Poète et la fée, a pari merito con l'oggi quasi sconosciuto Marc Delmas. Bisogna ricordare che fino al 1968 il premio per la musica era assegnato chiedendo ai partecipanti di comporre una cantata su un testo uguale per tutti, fissato anno per anno. Appartengono invece agli anni trenta e dunque alla maturità del compositore i due brani per flauto e pianoforte Aria e Entr'acte. Lontani da asprezze avanguardistiche, sono due bozzetti di piacevole ascolto, di clima pastorale il primo, mentre il secondo presenta inflessioni spagnoleggianti, ispirandosi ad un topos tipico della musica francese, da Bizet a Ravel.

Con Philippe Hurel ci spostiamo avanti nel tempo. Dal 1968 infatti, per decisione dell'allora ministro della cultura André Malraux l'estenuante concorso, che tra l'altro in passato aveva escluso Saint Saëns, Fauré e Ravel, fu trasformato in una selezione su candidatura presentata dagli stessi aspiranti. Hurel fu borsista dal 1986 al 1988 ed è oggi uno dei più interessanti compositori francesi, tra quelli della generazione dei nati negli anni cinquanta. Influenzato dallo spettralismo di Grisey, ma anche dalla musica jazz e rock, Hurel combina sapientemente le strutture complesse tipiche dei compositori post-strutturalisti con le esigenze dell'ascolto, in particolare attraverso un uso originale della ripetizione. In ...à mesure (1996) le peripezie formali del brano sono in qualche modo non previste in anticipo durante la scrittura, ma introducono elementi inattesi, secondo una visione quasi cinematografica, che non esclude flashback e flashforward.

Cogliamo l'occasione per ricordare a due anni dalla precoce scomparsa la figura di Christophe Bertrand, compositore che, a trent'anni non ancora compiuti, si stava rivelando come un'autentico talento di livello mondiale. Precocissimo, fu allievo di Ivan Fedele presso il Conservatorio di Strasburgo, perfezionandosi con Hurel, Murail, Ferneyhough e Harvey, aggiudicandosi la borsa dell'Accademia di Francia per il 2008 e 2009. La scelta di questi maestri segna un percorso molto personale nell'ambito dell'avanguardia europea, lontano da influenze minimaliste. I brani di Bertrand, quasi tutti basati su rapidità e contrasto come elementi propulsori, mostrano una sicurezza e una facilità di scrittura fuori dal comune. In Virya (2003-2004), termine sanscrito significante "energia, forza, vigore" si contrappongono materiali tra loro eterogenei. Ogni elemento tende a trasformarsi indipendentemente secondo il paradigma accumulazione/saturazione: accelerazione, crescendo, saturazione armonica. Un brano molto concentrato e ricco di virtuosisimo e vitalità.

Bruno Mantovani, nato nel 1974, è attualmente direttore del Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi. Citiamo la data di nascita non per pura informazione, ma per far riflettere quanto sia tenuta in considerazione in Francia l'età media della cosiddetta "classe dirigente". Il fatto che un compositore non ancora quarantenne sia alla guida della più importante istituzione musicale francese fa quasi sorridere a confronto con la nostrana gerontocrazia in ambito accademico e universitario (e non aggiungiamo altro). Mantovani, borsista a villa Medici nel 2004, è un musicista solido e interessante, in particolare per la ricerca di integrazione tra elementi colti ed extracolti nella propria scrittura. D'un rêve parti (1999) infatti prende spunto fin dal titolo (francesizzazione di Rave party) dalla musica techno, in particolare nell'uso di ritmi iterativi tipici delle drum machines. Tali influenze non sono però semplici prestiti, ma sono sfruttate attraverso una sapiente strutturazione dei materiali, che all'ascolto si traduce in una complessità accattivante mai fine a sé stessa, che non sacrifica mai la percezione formale fin dal primo ascolto.


domenica 7 ottobre 2012

IN SCENA! 2012 - PRIMO CONCERTO




UOMINI ARMATI

L’evidente rassomiglianza di alcune caratteristiche compositive (la mancanza di un centro tonale, il cromatismo spesso esasperato, la predilezione per il contrappunto e la similitudine di alcune tecniche ad esso legate, come l’hoquetus con la weberniana klangfarbenmelodie) ha fatto sì che molti dei compositori del primo e secondo novecento traessero ispirazione nella musica dell’epoca pre-barocca (basti pensare allo Stravinsky del Monumentum pro Gesualdo da Venosa, o a Steve Reich che vede tra i suoi maggiori ispiratori i musicisti dell’antica scuola di Notre-Dame Leoninus e Perotinus, o ancora a Glenn Gould, una delle menti musicali più lucide del secolo scorso, che cita come suo musicista preferito il virginalista inglese Orlando Gibbons).

Non fanno eccezione gli inglesi Harrison Birtwhistle e Peter Maxwell-Davies. Se il primo si limita a riorchestrare, con sonorità in un interessante mèlange di antico e moderno, un motteto di Johannes Ockeghem ed un hoquetus del maggior esponente dell’ars nova francese, Guillaume de Machaut, il secondo non rinuncia neanche in questo caso al suo amore per l’esasperata teatralizzazione della musica. Il brano inizia infatti come un ri-arrangiamento di un’anonima messa del quattrocento basata sulla famosa canzone profana L’homme armè che già ispirò Jusquin Desprez, ma presto il meccanismo si inceppa. I gesti musicali diventano assurdi ed esagerati, deteriorandosi in un allucinato fox-trot, mentre la voce narrante racconta dei tradimenti di Giuda e di San Pietro [1], tradimenti che si riflettono nella disgregazione musicale della messa originale.

A completare il programma si è scelto di eseguire Il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi, vera fucina di innovazioni tecniche e musicali, capolavoro di quello stile rappresentativo che a breve darà vita all’opera lirica, il principale genere di teatro musicale dal Settecento ai giorni nostri. Qui è possibile leggere il libretto, tratto dal dodicesimo canto della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.

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[1] - Traduzione italiana del testo: 

Si avvicinava la festa degli Azzimi, chiamata Pasqua, e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano come toglierlo di mezzo, poiché temevano il popolo. Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici. Ed egli andò a discutere con i sommi sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo nelle loro mani. Essi si rallegrarono e si accordarono di dargli del denaro. Egli fu d'accordo e cercava l'occasione propizia per consegnarlo loro di nascosto dalla folla.

Pietro gli disse: "Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte". Gli rispose: "Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi". [...Passata circa un'ora, un altro insisteva:] "In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo". Ma Pietro disse: "O uomo, non so quello che dici". E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E, uscito, pianse amaramente.

"Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi". "Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!".

(frammenti dal Vangelo secondo Luca, capitolo 22 – traduzione a cura della Conferenza Episcopale Italiana)