MEDITERRANEO
Nel
periodo tra il 1923 e il 1929, durante il quale vide la luce il
Concerto
per clavicembalo e
cinque
strumenti,
Manuel de Falla si era ampiamente affrancato dall’influenza
estetica di Claude Debussy e Maurice Ravel, suoi primi numi tutelari,
a favore di una scrittura aspra e scarna, più vicina allo Stravinsky
dell’Histoire
du Soldat
e della Sinfonia
per strumenti a fiato,
oppure allo Schönberg della Kammersymphonie
op.9.
Anche l’impiego del clavicembalo (ma il brano può essere
tradizionalmente eseguito anche con il pianoforte), suggerito dalla
virtuosa Marta Landowska che già prese parte alla prima del Retablo
de Maese Pedro,
sembra rimandare più alla musica del cinque-seicento che a quella
barocca. Il brano è in effetti una riflessione sulla storia della
musica spagnola, in un contesto neoclassico: il primo movimento è
infatti costruito sul villancico
cinquecentesco
“De Los Alamos vengo, madre”, il secondo sul “Tantum ergo” di
Luis de Victoria, mentre il terzo, unico movimento nel quale la parte
del solista reca ornamentazioni tipiche del barocco, come trilli e
mordenti, è una rielaborazione di De Los Alamos in chiave
scarlattiana.
Plektó,
titolo del brano composto dal greco Iannis Xenakis nel 1994,
significa “trecce”, in questo caso intese come intreccio
contrappuntistico di linee melodiche, ritmi e timbri. Nella
composizione, infatti, si assiste via via alla giustapposizione di
singole linee melodiche a materiale accordale. In aggiunta, a volte
l’ensemble è diviso tra archi e fiati, altre volte il flauto è
accoppiato al violino, e il clarinetto al violoncello. Il pianoforte
serve da sostegno agli altri strumenti, con le percussioni impegnate
a contrappuntarne e in un certo qual modo confonderne la linea
ritmica. Come è tipico delle composizioni dello Xenakis più tardo
(il compositore morirà infatti nel 2001 a 79 anni), il tempo
generale è molto lento, rendendo assai difficile la percezione delle
lunghe arcate melodiche. Nel finale, addirittura, ogni esecutore
suona ad un tempo differente, ma in precisa relazione ritmica con gli
altri strumentisti.
Così
scrive Francesco Antonioni a proposito del suo Macchine
inutili:
“Di solito lo scopo di una macchina è quello di essere un mezzo
per semplificare qualcosa: la leva, l’automobile, gli
elettrodomestici sono delle macchine semplici oppure molto complicate
che ci semplificano la vita. Qualche volta accade che le macchine
perdano quasi del tutto di vista il loro scopo e diventino in sé
oggetti di grande interesse, come succede alle automobili d’epoca,
o ai computer. Progettare invece marchingegni di nessuna utilità
pratica, elaborati, e tuttavia senza scopo, è una mansione che, per
quanto possa essere per alcuni divertente, sembra priva di senso, e
secondo la maggior parte delle persone, rasenta l’assurdo. Solo la
bellezza dell’invenzione, da sempre giudicata inutile da chi pensa
solo all’atto pratico, può riscattare il suo ideatore dall’
accusa di star sprecando il proprio e l’altrui tempo. Le Macchine
inutili sono fra le prime opere del designer Bruno Munari
(1907-1998), che in un orizzonte allora dominato dal futurismo
italiano e dal surrealismo francese, dette questo nome provocatorio
ad alcune speciali sculture sospese in movimento eteree ed
evanescenti, cronologicamente antecedenti ma simili a quelle, per la
verità più famose, di Alexander Calder. Più che la loro
consistenza quasi impalpabile, il titolo e l’idea retrostante di
realizzare complessi marchingegni senza scopo apparente ha generato
il progetto di comporre una serie di trasformazioni su di un motivo
elementare, su cui giocare continue variazioni, e a cui opporre, per
contrarietà quasi necessaria, l’entropia, tendente alla stasi, di
lente parabole discendenti”.
Il
maltese Ruben Zahra così illustra il suo brano Silk
road suite
per violoncello e percussioni: “ La strada percorsa da Marco Polo
verso la Cina è storicamente conosciuta come Via
della Seta.
Questa suite è divisa in quattro movimenti che tracciano un viaggio
musicale dalle spiagge e dai porti del Mediterraneo sino alle antiche
città della Cina, oltre la Grande Muraglia. Nonostante la Via della
Seta fosse troppo desolata per ospitare grandi popolazioni, piccoli
gruppi di predoni riuscivano a sopravvivere assai bene raccogliendo
acqua dai pozzi e occasionalmente ingaggiando una vera e propria
Caccia nel Deserto per razziare beni e oggetti di pregio dalle
carovane di passaggio. Prima di entrare nella città di Chiang-an
attraverso la Grande Muraglia, i viaggiatori si trovavano nella
fertile valle del fiume Wei, i cui campi sono resi gialli dal loess,
la fine polvere che il vento trasporta dalle steppe del nord.”
La
musica dell’algerino Salim Dada, compositeur
en residence
dell’ orchestra francese Divertimento, è un originale mèlange
tra il linguaggio della musica classica araba (il compositore è
anche un virtuoso suonatore di oud,
il tradizionale liuto mediorientale) e le moderne tecniche
compositive. L’innovativa fusione dà vita ad una musica innovativa
e seducente, dallo sguardo rivolto al futuro. Su Lisse
Strié,
l'autore cita un brano dal saggio di Manola
Antonioli, Géophilosophie
de Deuleuze et Guattari,
(Paris, L’Harmattan, 2003) a proposito di liscio
e striato
negli spazi architettonici e ambientali (concetti mutuati dalla
fisiologia umana): “Nello spazio striato la misura può essere sia
regolare che irregolare, ma è sempre determinata, mentre nello
spazio liscio il taglio può essere effettuato dove si vuole. La
differenza che separa questi due spazi è complessa: da una parte si
tratta di un'opposizione semplice tra due ordini di esistenza
(striato e sedentario/liscio e nomade), dall'altra questi due modi di
occupare gli spazi esistono in funziono della loro reciproca
mescolanza. Lo spazio liscio può sempre divenire striato, lo spazio
striato è costantemente ridotto alla dimensione di uno spazio liscio
e nomade. In entrambi gli spazi ci sono punti, linee e superfici, ma
gli itinerari, le distribuzioni e le popolazioni di questi elementi
differiscono.”