spettacolo riservato agli studenti del Liceo Musicale "A. Passoni" di Torino
“ELETTRONICA PER I GIOVANI”
5 novembre 2013 – Conservatorio “G. Verdi” di Torino
ORE 10.30
Musiche di Stockhausen, Harvery, Nono, Karpen
Stefano Bassanese, Andrea Agostini (Conservatorio “G. Verdi” di Torino) presentazione e regia del suono
Paolo Volta (Fiarì Ensemble), violino
in collaborazione con la Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio “G. Verdi” di Torino
domenica 3 novembre 2013
IN SCENA! 2013 - 3° CONCERTO
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sabato 19 ottobre 2013
IN SCENA! 2013 - 2° CONCERTO
“FLUSSI”
21 ottobre 2013 – Teatro Vittoria, Torino
ORE 21.00
RUGGERO LAGANÀ
THE LOVE SONG OF
J. ALFRED PRUFROCK
Testo di T. S. Eliot
1° esecuzione assoluta
A DEDICATION (TO MY WIFE)
Testo di T. S. Eliot
1° esecuzione assoluta
GIULIA MIA, LE FILIPPINE!
Testo di S. Cappelletto
1° esecuzione assoluta
Fiarì Ensemble
Luciano Condina flauto, Gianluca Calonghi clarinetto, Paolo Volta violino, Massimo Barrera violoncello, Gianluca Angelillo pianoforte, Riccardo Balbinutti e Andrea Vigliocco percussioni
Marilena Solavagione, direttore
Sonia Grandis e Lorenzo Fontana, attori
Ayumi Togo, soprano
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Ruggero Laganà |
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La canzone d’amore
di J.Alfred Prufock
(per voce recitante
clarinetto, pianoforte, percussione, violino e violoncello)
testo di T. S. Eliot –
musica di Ruggero Laganà
Eliot fa uso della
tecnica cosiddetta "flusso di coscienza" ed è spesso
difficile determinare quali passi siano da interpretare letteralmente
e quali siano simbolici, quali siano reali e quali facciano parte
dell’inconscio. Inoltre i passaggi tra i vari pensieri sono
prevalentemente psicologici piuttosto che logici; per questo l'uso
del verso libero. Innanzi tutto il testo non è una canzone d'amore:
per Prufrock l'amore non è possibile, poiché vive la crisi
dell'uomo del primo ‘900, incapace di affrontare i cambiamenti e
avverte il male di vivere. Si rivolge ad un destinatario
imprecisato, un ascoltatore silenzioso. Il dilemma che opprime
Prufrock è l'inabilità a vivere un'esistenza significante nel mondo
moderno, riassumendo la frustrazione e l'impotenza dell'uomo dei
nostri giorni. Pufrock sembra rappresentare desideri contrastati e
moderna disillusione. Con l'avanzare della poesia prevalgono immagini
d'invecchiamento e decadenza; diventano chiare la rinuncia alla
fondamentale domanda e il riconoscimento della propria, mesta figura,
indegna ed incapace di turbare l'universo. Egli si paragona ad un
cortigiano, persino ad un buffone, figura comica e marginale, non in
grado di porsi come protagonista della Vita.
Il melologo si presenta
in 6 quadri (corrispondenti ai brani con pianoforte, violino,
violoncello, percussioni e clarinetto, che assurge simbolicamente al
canto/voce di Prufrock). La percussione accompagna il testo della
canzone recitato e svuotato quasi di riferimenti sonoro/musicali
determinati, lasciando un senso di smarrimento e di vuoto. Alla fine
di ogni stralcio del Poema il commento strumentale crea l’atmosfera
interiore suggerita dalla recitazione e prepara alla successiva parte
del testo di nuovo accompagnato solo da una diversa e spoglia
percussione.
Durata 35 minuti circa
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Thomas Stearns Eliot |
A Dedication
( per soprano solo)
testo da R. M. Rilke –
musica di Ruggero Laganà
Di altra solitudine ed
estranietà si tratta. Ho tratto un testo da una meravigliosa poesia
di Rilke: “Orfeo, Euridice, Ermete”. In essa la discesa agli
inferi di Orfeo per ricondurre alla vita Euridice è completamente
stravolta rispetto al mito. La risalita dall’Ade di Euridice (amata
e compianta dall’inconsolabile Orfeo dopo la sua morte) avviene
secondo il racconto che conosciamo: accompagnata da Ermete, segue
Orfeo che sale per primo e mai dovrà voltarsi pena l’impossibilità
di far rivivere la sposa. Viceversa, inspiegabilmente, ciò accadrà
ed Euridice tornerà per sempre nel regno dei morti.
Il perché ciò avviene
è spiegato e descritto da Rilke mirabilmente ed appare sconcertante
e nuovo:
Euridice è morta e pur
nel tentativo di ritorno alla vita non è più la donna amata da
Orfeo; colma di morte, è estranea a se stessa e all’amato, spenta,
procede, ma non sa nemmeno dove e perché. Orfeo evidentemente se ne
accorge, anche se tutto ciò non è detto, e comunque si volta e
guarda decisamente e volontaristicamente Euridice perché sente ormai
l’impossibilità di ritrovare la stessa in lei la stessa donna e in
sé la stessa passione, la stessa vitalità, lo stesso sentimento: la
morte è avvenuta e non si ritorna indietro.
E’ incredibile
l’esclamazione di Euridice allorché sgomento Ermete annuncia che
Orfeo si è voltato: “Chi?” dice Lei, non capendo nulla
dell’accaduto nella sua chiusura e non provando nessun dolore nel
riprendere la via del ritorno , senza fretta, inciampando nelle sue
bende, mite.
Ho affidato tutto alla
voce femminile: l’esteriorizzazione dei cambiamenti dei paesaggi
esteriori dei luoghi attraversati ed interiori dei personaggi. Nelle
varie sezioni del brano si incede dal basso all’alto e i registri
della voce sono legati ai tre protagonisti che interrompono il
rintocco dei passi del lento e, alla fine inutile cammino, per
descriverne le differenze di intenzione, di pensieri, di propositi.
Durata 10 minuti circa
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Rainer Maria Rilke |
Giulia mia , le
filippine !
(flusso nervoso per
voci femminili, cellulare ed ensemble strumentale)
testo di Sandro
Cappelletto - musica di Ruggero Laganà
Ho sdoppiato la voce in
recitazione e canto. Situazione tipica dell’attualità: donna
restata sola che, al cellulare, si lamenta di tutto, delle ragazze
che si susseguono come domestiche, degli ex-fidanzati, delle vacanze
imminenti che non sa con chi e dove fare... in un ininterrotto flusso
di parole bruscamente interrotto da una sorpresa finale non proprio
piacevole. La cantante (sua voce interiore) intona e sottolinea solo
alcune parole di tale flusso amplificandone il senso. Con la musica
mi diverto a commentare, a marcare l’essenziale di questo fiume
verboso di strampalata comunicazione, a riderci amaramente un po’
sopra e a rendere estraniato tutto il pathos della telefonata per
quello che è: uno sfogo un po’ isterico, un po’ delirante, di
una “piccolo borghese”, cittadina, schiava del consumismo e
inguaribilmente alienata. E’ apparentemente il contrario della
telefonata drammatica, sempre di una donna che sta per essere
abbandonata, della Voix humaine di Jean Cocteau (musicata da Poulenc), ma nello sconclusionato, nervoso sproloquio detto, sussurrato,
urlato al cellulare si sente un vuoto che ci ricorda molte situazioni
dell’oggi e che, se fa sorridere, ci intristisce comunque un
po’.
Durata 20 minuti circa
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Sandro Cappelletto |
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laganà
sabato 28 settembre 2013
IN SCENA! 2013 - 1° CONCERTO
“HISTOIRE DU SOLDAT”
7 ottobre 2013 – Teatro Vittoria, Torino
ORE 10.30 spettacolo per le scuole – ORE 21.00 spettacolo per tutti
IGOR STRAVINSKIJ (1882-1971)
HISTOIRE DU SOLDAT
Fiarì Ensemble
Gianluca Calonghi clarinetto, Elvio Di Martino fagotto, Ivano Buat tromba , Corrado Colliard trombone, Paolo Volta violino, Paolo Borsarelli contrabbasso, Riccardo Balbinutti percussioni
Marilena Solavagione, direttore
con la partecipazione di Mario Brusa, voce recitante
La genesi di Histoire du soldat è strettamente legata agli eventi della Prima Guerra Mondiale. Igor Stravinskij, dopo i successi parigini de L'uccello di fuoco, Petruska e La sagra della primavera, si era ritirato con la famiglia in Svizzera e dovette far fronte alle ristrettezze economiche del periodo bellico. La necessità di guadagnarsi da vivere aguzzò l'ingegno del compositore, grazie anche alla collaborazione con il letterato svizzero Charles Ferdinand Ramuz. I due amici ebbero l'idea di creare uno spettacolo con pochi mezzi teatrali e musicali, facilmente trasportabile per città e villaggi. Dunque non un'opera né un balletto, ma più semplicemente una storia da "recitare, suonare e danzare". La scelta del soggetto cadde su un racconto di Afanasiev, che narra la storia di un soldato disertore che stringe un patto con il diavolo. La semplicità della trama richiama l'idea di un racconto morale, dove l'anima del protagonista è simboleggiata dal suo violino, ripetutamente perso e riconquistato. Si tratta di un tema - quello della responsabilità dell'uomo nei confronti del proprio destino - su cui Stravinskij sarebbe ripetutamente tornato: da Jeu de cartes a Oedipus rex, per finire con quel capolavoro della maturità che è La carriera di un libertino.
La versione originale di Histoire du soldat prevede tre ruoli recitati (Narratore, Soldato, Diavolo) e due ruoli danzati (Diavolo e Principessa) e dà indicazioni piuttosto precise su scenografia e costumi. Per il presente spettacolo abbiamo optato per una soluzione più snella grazie alla capacità affabulatoria di Mario Brusa che incarnerà tutti e tre i ruoli recitati.
La trama
Mentre sta tornando a casa in licenza, un soldato incontra il diavolo (nei panni di un vecchio signore con retino acchiappafarfalle) e viene da questi convinto a barattarlo con un libro magico in grado di predire il futuro, procurando così ricchezza. Il soldato dovrà restare con il diavolo tre giorni per insegnarli a suonare il violino. In realtà, senza accorgersene, il soldato non rimane con il diavolo tre giorni, bensì tre anni, e una volta ritornato al villaggio natio la madre non lo riconosce e la fidanzata si è sposata. Gli ricompare il diavolo (ora nelle vesti di un ricco mercante di bestiame), che lo incita ad usare il libro magico. Il soldato è ora ricco, ma infelice. Ancora una volta riappare il diavolo, vestito da vecchia mendicante, con il violino, ma il soldato si rende conto che non è più in grado di suonarlo, si infuria e rompe il libro in mille pezzi.
Il soldato si rimette in cammino e giunge in un regno il cui re ha promesso in sposa la propria figlia a chi riuscirà a guarirla da una misteriosa malattia. Anche il diavolo si trova in questa città, in veste di elegante violinista. Il soldato lo sfida a carte, lo fa ubriacare e riesce così a recuperare il violino. Con esso si reca al capezzale della principessa, suona tre danze (Tango-Valse-Ragtime) che guariscono la malata. Ricompare il diavolo, questa volta proprio nelle sue peculiari vesti di diavolo, ma il soldato lo costringe a ballare al suono del violino, fino a che cade esausto. Il soldato e la principessa si sposano, ma sulla loro felicità grava la maledizione del diavolo, che si attuerà nel caso abbandonino il loro regno. Quando la nostalgia e il desiderio della principessa di conoscere la madre e il villaggio dello sposo li condurranno oltre i confini del regno, infatti, per l'ultima e definitiva volta ricompare il diavolo, che al suono del violino trascina con sé il soldato.
7 ottobre 2013 – Teatro Vittoria, Torino
ORE 10.30 spettacolo per le scuole – ORE 21.00 spettacolo per tutti
IGOR STRAVINSKIJ (1882-1971)
HISTOIRE DU SOLDAT
Fiarì Ensemble
Gianluca Calonghi clarinetto, Elvio Di Martino fagotto, Ivano Buat tromba , Corrado Colliard trombone, Paolo Volta violino, Paolo Borsarelli contrabbasso, Riccardo Balbinutti percussioni
Marilena Solavagione, direttore
con la partecipazione di Mario Brusa, voce recitante
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Stravinskij e Ramuz |
La genesi di Histoire du soldat è strettamente legata agli eventi della Prima Guerra Mondiale. Igor Stravinskij, dopo i successi parigini de L'uccello di fuoco, Petruska e La sagra della primavera, si era ritirato con la famiglia in Svizzera e dovette far fronte alle ristrettezze economiche del periodo bellico. La necessità di guadagnarsi da vivere aguzzò l'ingegno del compositore, grazie anche alla collaborazione con il letterato svizzero Charles Ferdinand Ramuz. I due amici ebbero l'idea di creare uno spettacolo con pochi mezzi teatrali e musicali, facilmente trasportabile per città e villaggi. Dunque non un'opera né un balletto, ma più semplicemente una storia da "recitare, suonare e danzare". La scelta del soggetto cadde su un racconto di Afanasiev, che narra la storia di un soldato disertore che stringe un patto con il diavolo. La semplicità della trama richiama l'idea di un racconto morale, dove l'anima del protagonista è simboleggiata dal suo violino, ripetutamente perso e riconquistato. Si tratta di un tema - quello della responsabilità dell'uomo nei confronti del proprio destino - su cui Stravinskij sarebbe ripetutamente tornato: da Jeu de cartes a Oedipus rex, per finire con quel capolavoro della maturità che è La carriera di un libertino.
La versione originale di Histoire du soldat prevede tre ruoli recitati (Narratore, Soldato, Diavolo) e due ruoli danzati (Diavolo e Principessa) e dà indicazioni piuttosto precise su scenografia e costumi. Per il presente spettacolo abbiamo optato per una soluzione più snella grazie alla capacità affabulatoria di Mario Brusa che incarnerà tutti e tre i ruoli recitati.
La trama
Mentre sta tornando a casa in licenza, un soldato incontra il diavolo (nei panni di un vecchio signore con retino acchiappafarfalle) e viene da questi convinto a barattarlo con un libro magico in grado di predire il futuro, procurando così ricchezza. Il soldato dovrà restare con il diavolo tre giorni per insegnarli a suonare il violino. In realtà, senza accorgersene, il soldato non rimane con il diavolo tre giorni, bensì tre anni, e una volta ritornato al villaggio natio la madre non lo riconosce e la fidanzata si è sposata. Gli ricompare il diavolo (ora nelle vesti di un ricco mercante di bestiame), che lo incita ad usare il libro magico. Il soldato è ora ricco, ma infelice. Ancora una volta riappare il diavolo, vestito da vecchia mendicante, con il violino, ma il soldato si rende conto che non è più in grado di suonarlo, si infuria e rompe il libro in mille pezzi.
Il soldato si rimette in cammino e giunge in un regno il cui re ha promesso in sposa la propria figlia a chi riuscirà a guarirla da una misteriosa malattia. Anche il diavolo si trova in questa città, in veste di elegante violinista. Il soldato lo sfida a carte, lo fa ubriacare e riesce così a recuperare il violino. Con esso si reca al capezzale della principessa, suona tre danze (Tango-Valse-Ragtime) che guariscono la malata. Ricompare il diavolo, questa volta proprio nelle sue peculiari vesti di diavolo, ma il soldato lo costringe a ballare al suono del violino, fino a che cade esausto. Il soldato e la principessa si sposano, ma sulla loro felicità grava la maledizione del diavolo, che si attuerà nel caso abbandonino il loro regno. Quando la nostalgia e il desiderio della principessa di conoscere la madre e il villaggio dello sposo li condurranno oltre i confini del regno, infatti, per l'ultima e definitiva volta ricompare il diavolo, che al suono del violino trascina con sé il soldato.
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sabato 21 settembre 2013
MUSICHE AL PRESENTE
A Torino, 5 associazioni per 54 concerti.
All'interno del cartellone troverete anche i concerti di IN SCENA! 2013.
All'interno del cartellone troverete anche i concerti di IN SCENA! 2013.
domenica 23 giugno 2013
giovedì 22 novembre 2012
IN SCENA! 2012 - QUARTO CONCERTO
MEDITERRANEO
Nel
periodo tra il 1923 e il 1929, durante il quale vide la luce il
Concerto
per clavicembalo e
cinque
strumenti,
Manuel de Falla si era ampiamente affrancato dall’influenza
estetica di Claude Debussy e Maurice Ravel, suoi primi numi tutelari,
a favore di una scrittura aspra e scarna, più vicina allo Stravinsky
dell’Histoire
du Soldat
e della Sinfonia
per strumenti a fiato,
oppure allo Schönberg della Kammersymphonie
op.9.
Anche l’impiego del clavicembalo (ma il brano può essere
tradizionalmente eseguito anche con il pianoforte), suggerito dalla
virtuosa Marta Landowska che già prese parte alla prima del Retablo
de Maese Pedro,
sembra rimandare più alla musica del cinque-seicento che a quella
barocca. Il brano è in effetti una riflessione sulla storia della
musica spagnola, in un contesto neoclassico: il primo movimento è
infatti costruito sul villancico
cinquecentesco
“De Los Alamos vengo, madre”, il secondo sul “Tantum ergo” di
Luis de Victoria, mentre il terzo, unico movimento nel quale la parte
del solista reca ornamentazioni tipiche del barocco, come trilli e
mordenti, è una rielaborazione di De Los Alamos in chiave
scarlattiana.
Plektó,
titolo del brano composto dal greco Iannis Xenakis nel 1994,
significa “trecce”, in questo caso intese come intreccio
contrappuntistico di linee melodiche, ritmi e timbri. Nella
composizione, infatti, si assiste via via alla giustapposizione di
singole linee melodiche a materiale accordale. In aggiunta, a volte
l’ensemble è diviso tra archi e fiati, altre volte il flauto è
accoppiato al violino, e il clarinetto al violoncello. Il pianoforte
serve da sostegno agli altri strumenti, con le percussioni impegnate
a contrappuntarne e in un certo qual modo confonderne la linea
ritmica. Come è tipico delle composizioni dello Xenakis più tardo
(il compositore morirà infatti nel 2001 a 79 anni), il tempo
generale è molto lento, rendendo assai difficile la percezione delle
lunghe arcate melodiche. Nel finale, addirittura, ogni esecutore
suona ad un tempo differente, ma in precisa relazione ritmica con gli
altri strumentisti.
Così
scrive Francesco Antonioni a proposito del suo Macchine
inutili:
“Di solito lo scopo di una macchina è quello di essere un mezzo
per semplificare qualcosa: la leva, l’automobile, gli
elettrodomestici sono delle macchine semplici oppure molto complicate
che ci semplificano la vita. Qualche volta accade che le macchine
perdano quasi del tutto di vista il loro scopo e diventino in sé
oggetti di grande interesse, come succede alle automobili d’epoca,
o ai computer. Progettare invece marchingegni di nessuna utilità
pratica, elaborati, e tuttavia senza scopo, è una mansione che, per
quanto possa essere per alcuni divertente, sembra priva di senso, e
secondo la maggior parte delle persone, rasenta l’assurdo. Solo la
bellezza dell’invenzione, da sempre giudicata inutile da chi pensa
solo all’atto pratico, può riscattare il suo ideatore dall’
accusa di star sprecando il proprio e l’altrui tempo. Le Macchine
inutili sono fra le prime opere del designer Bruno Munari
(1907-1998), che in un orizzonte allora dominato dal futurismo
italiano e dal surrealismo francese, dette questo nome provocatorio
ad alcune speciali sculture sospese in movimento eteree ed
evanescenti, cronologicamente antecedenti ma simili a quelle, per la
verità più famose, di Alexander Calder. Più che la loro
consistenza quasi impalpabile, il titolo e l’idea retrostante di
realizzare complessi marchingegni senza scopo apparente ha generato
il progetto di comporre una serie di trasformazioni su di un motivo
elementare, su cui giocare continue variazioni, e a cui opporre, per
contrarietà quasi necessaria, l’entropia, tendente alla stasi, di
lente parabole discendenti”.
Il
maltese Ruben Zahra così illustra il suo brano Silk
road suite
per violoncello e percussioni: “ La strada percorsa da Marco Polo
verso la Cina è storicamente conosciuta come Via
della Seta.
Questa suite è divisa in quattro movimenti che tracciano un viaggio
musicale dalle spiagge e dai porti del Mediterraneo sino alle antiche
città della Cina, oltre la Grande Muraglia. Nonostante la Via della
Seta fosse troppo desolata per ospitare grandi popolazioni, piccoli
gruppi di predoni riuscivano a sopravvivere assai bene raccogliendo
acqua dai pozzi e occasionalmente ingaggiando una vera e propria
Caccia nel Deserto per razziare beni e oggetti di pregio dalle
carovane di passaggio. Prima di entrare nella città di Chiang-an
attraverso la Grande Muraglia, i viaggiatori si trovavano nella
fertile valle del fiume Wei, i cui campi sono resi gialli dal loess,
la fine polvere che il vento trasporta dalle steppe del nord.”
La
musica dell’algerino Salim Dada, compositeur
en residence
dell’ orchestra francese Divertimento, è un originale mèlange
tra il linguaggio della musica classica araba (il compositore è
anche un virtuoso suonatore di oud,
il tradizionale liuto mediorientale) e le moderne tecniche
compositive. L’innovativa fusione dà vita ad una musica innovativa
e seducente, dallo sguardo rivolto al futuro. Su Lisse
Strié,
l'autore cita un brano dal saggio di Manola
Antonioli, Géophilosophie
de Deuleuze et Guattari,
(Paris, L’Harmattan, 2003) a proposito di liscio
e striato
negli spazi architettonici e ambientali (concetti mutuati dalla
fisiologia umana): “Nello spazio striato la misura può essere sia
regolare che irregolare, ma è sempre determinata, mentre nello
spazio liscio il taglio può essere effettuato dove si vuole. La
differenza che separa questi due spazi è complessa: da una parte si
tratta di un'opposizione semplice tra due ordini di esistenza
(striato e sedentario/liscio e nomade), dall'altra questi due modi di
occupare gli spazi esistono in funziono della loro reciproca
mescolanza. Lo spazio liscio può sempre divenire striato, lo spazio
striato è costantemente ridotto alla dimensione di uno spazio liscio
e nomade. In entrambi gli spazi ci sono punti, linee e superfici, ma
gli itinerari, le distribuzioni e le popolazioni di questi elementi
differiscono.”
IN SCENA! 2012 - TERZO CONCERTO
EST
Dal
1977, anno della sua composizione, Fratres,
una delle più conosciute creazioni dell’estone Arvo Pärt, è
stato oggetto, da parte dell’autore, di moltissime strumentazioni
differenti: dall’originale quintetto d’archi si passa, tra le
altre, all’orchestra d’archi con percussioni, al quintetto di
fiati, all’ottetto di fiati, a dodici celli, a violino o viola o
violoncello e pianoforte… Strutturato su otto o nove (secondo
l’orchestrazione) sequenze accordali separate da un motivo ritmico
ricorrente, il brano è una chiara esemplificazione dello stile
denominato da Pärt stesso tintinnabuli
(dal
latino tintinnabulum,
campana), al quale il compositore era giunto dopo uno forte crisi
artistica che lo portò, a metà degli anni ’70, a cancellare dal
proprio catalogo tutte le opere precedenti Für
Alina,
prima composizione nel nuovo stile. Derivato dalle influenze della
polifonia ortodossa, il tintinnabulum si basa su due voci
fondamentali: la prima che arpeggia triadi di tonica e la seconda che
si muove diatonicamente per gradi congiunti, donando alla musica un
carattere arcaico ed ipnotico.
Musica
ricercata,
una delle prime opere di György Ligeti (data infatti 1951-53,
nonostante la prima esecuzione sia del 1969), vanta il notevole
primato, per un brano di musica contemporanea, di essere presente
nella colonna sonora di due film di grande successo: Eyes
wide shut
di Stanley Kubrick (che già utilizzò altre composizioni di Ligeti
in 2001:
Odissea nello spazio,
decretandone così la fama internazionale) e Shutter
Island
di Martin Scorsese. Nonostante il termine ricercata
(o ricercare)
si riferisca ad uno stile contrappuntistico, solo l’ultimo degli
undici brevi brani per pianoforte solo è scritto in questa forma: di
caratteri assai differenti tra loro i pezzi, infatti, testimoniano la
ricerca di Ligeti di trovare un proprio originale linguaggio
espressivo, e contengono in
nuce idee
che saranno sfruttate e messe a fuoco nelle composizioni future.
Il
ceco Bohuslav Martinu compose la sua Sonatina
per clarinetto e pianoforte nel 1956, quando già da tempo abitava
negli Stati Uniti, a New York. Strutturata in un singolo movimento
con tre distinte sezioni (Moderato, Andante e Poco Allegro), la
Sonatina
è ricca di ritmi di danza e di marcia, alternati a passaggi più
lirici. Il linguaggio, che rimanda al neoclassicismo di Poulenc e
Stravinsky riporta il compositore agli anni trascorsi a Parigi
(1923-1940), e alla forte influenza che su di lui esercitò il
cosiddetto “Gruppo dei Sei” (Auric, Durey, Honegger, Milhaud,
Poulenc e Tailleferre).
Al
contrario del brano di Martinu scritto in tarda età, il Trio
per clarinetto, violino e pianoforte venne ultimato nel 1932 quando
Aram Khachaturian era ancora studente presso il Conservatorio di
Mosca. Il primo movimento è in stile zingaresco, quasi
improvvisativo. Il materiale melodico è spesso ripetuto con
ornamentazioni e piccole cadenze, creando un’atmosfera quasi
ipnotica. Il secondo movimento inizia come uno scherzo, presto
interrotto dall’irrompere di una melodia popolare in un tempo più
calmo. I due temi verranno poi combinati, per chiudere ancora con lo
scherzo. Anche il terzo movimento è basato su di un tema popolare:
una serie di variazioni dello stesso portano al momento culminante,
dopo il quale la musica scompare via via nel silenzio.
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