domenica 3 novembre 2013

IN SCENA! 2013 - 3° CONCERTO

spettacolo riservato agli studenti del Liceo Musicale "A. Passoni" di Torino

“ELETTRONICA PER I GIOVANI”
5 novembre 2013 – Conservatorio “G. Verdi” di Torino
ORE 10.30 
Musiche di Stockhausen, Harvery, Nono, Karpen
Stefano Bassanese, Andrea Agostini (Conservatorio “G. Verdi” di Torino) presentazione e regia del suono
Paolo Volta (Fiarì Ensemble), violino
in collaborazione con la Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio “G. Verdi” di Torino

sabato 19 ottobre 2013

IN SCENA! 2013 - 2° CONCERTO


“FLUSSI”
21 ottobre 2013 – Teatro Vittoria, Torino
ORE 21.00


RUGGERO LAGANÀ
 

THE LOVE SONG OF
J. ALFRED PRUFROCK
Testo di T. S. Eliot
1° esecuzione assoluta


A DEDICATION (TO MY WIFE)
Testo di T. S. Eliot
1° esecuzione assoluta


GIULIA MIA, LE FILIPPINE!
Testo di S. Cappelletto
1° esecuzione assoluta



Fiarì Ensemble
Luciano Condina flauto, Gianluca Calonghi clarinetto, Paolo Volta violino, Massimo Barrera violoncello, Gianluca Angelillo pianoforte, Riccardo Balbinutti e Andrea Vigliocco percussioni

Marilena Solavagione, direttore
Sonia Grandis e Lorenzo Fontana, attori
Ayumi Togo, soprano


Ruggero Laganà









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La canzone d’amore di J.Alfred Prufock
(per voce recitante clarinetto, pianoforte, percussione, violino e violoncello)
testo di T. S. Eliot – musica di Ruggero Laganà

Eliot fa uso della tecnica cosiddetta "flusso di coscienza" ed è spesso difficile determinare quali passi siano da interpretare letteralmente e quali siano simbolici, quali siano reali e quali facciano parte dell’inconscio. Inoltre i passaggi tra i vari pensieri sono prevalentemente psicologici piuttosto che logici; per questo l'uso del verso libero. Innanzi tutto il testo non è una canzone d'amore: per Prufrock l'amore non è possibile, poiché vive la crisi dell'uomo del primo ‘900, incapace di affrontare i cambiamenti e avverte il male di vivere. Si rivolge ad un destinatario imprecisato, un ascoltatore silenzioso. Il dilemma che opprime Prufrock è l'inabilità a vivere un'esistenza significante nel mondo moderno, riassumendo la frustrazione e l'impotenza dell'uomo dei nostri giorni. Pufrock sembra rappresentare desideri contrastati e moderna disillusione. Con l'avanzare della poesia prevalgono immagini d'invecchiamento e decadenza; diventano chiare la rinuncia alla fondamentale domanda e il riconoscimento della propria, mesta figura, indegna ed incapace di turbare l'universo. Egli si paragona ad un cortigiano, persino ad un buffone, figura comica e marginale, non in grado di porsi come protagonista della Vita.
Il melologo si presenta in 6 quadri (corrispondenti ai brani con pianoforte, violino, violoncello, percussioni e clarinetto, che assurge simbolicamente al canto/voce di Prufrock). La percussione accompagna il testo della canzone recitato e svuotato quasi di riferimenti sonoro/musicali determinati, lasciando un senso di smarrimento e di vuoto. Alla fine di ogni stralcio del Poema il commento strumentale crea l’atmosfera interiore suggerita dalla recitazione e prepara alla successiva parte del testo di nuovo accompagnato solo da una diversa e spoglia percussione.
Durata 35 minuti circa 

Thomas Stearns Eliot


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A Dedication
( per soprano solo)
testo da R. M. Rilke – musica di Ruggero Laganà

Di altra solitudine ed estranietà si tratta. Ho tratto un testo da una meravigliosa poesia di Rilke: “Orfeo, Euridice, Ermete”. In essa la discesa agli inferi di Orfeo per ricondurre alla vita Euridice è completamente stravolta rispetto al mito. La risalita dall’Ade di Euridice (amata e compianta dall’inconsolabile Orfeo dopo la sua morte) avviene secondo il racconto che conosciamo: accompagnata da Ermete, segue Orfeo che sale per primo e mai dovrà voltarsi pena l’impossibilità di far rivivere la sposa. Viceversa, inspiegabilmente, ciò accadrà ed Euridice tornerà per sempre nel regno dei morti.
Il perché ciò avviene è spiegato e descritto da Rilke mirabilmente ed appare sconcertante e nuovo:
Euridice è morta e pur nel tentativo di ritorno alla vita non è più la donna amata da Orfeo; colma di morte, è estranea a se stessa e all’amato, spenta, procede, ma non sa nemmeno dove e perché. Orfeo evidentemente se ne accorge, anche se tutto ciò non è detto, e comunque si volta e guarda decisamente e volontaristicamente Euridice perché sente ormai l’impossibilità di ritrovare la stessa in lei la stessa donna e in sé la stessa passione, la stessa vitalità, lo stesso sentimento: la morte è avvenuta e non si ritorna indietro.
E’ incredibile l’esclamazione di Euridice allorché sgomento Ermete annuncia che Orfeo si è voltato: “Chi?” dice Lei, non capendo nulla dell’accaduto nella sua chiusura e non provando nessun dolore nel riprendere la via del ritorno , senza fretta, inciampando nelle sue bende, mite.
Ho affidato tutto alla voce femminile: l’esteriorizzazione dei cambiamenti dei paesaggi esteriori dei luoghi attraversati ed interiori dei personaggi. Nelle varie sezioni del brano si incede dal basso all’alto e i registri della voce sono legati ai tre protagonisti che interrompono il rintocco dei passi del lento e, alla fine inutile cammino, per descriverne le differenze di intenzione, di pensieri, di propositi.
Durata 10 minuti circa

Rainer Maria Rilke

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Giulia mia , le filippine !
(flusso nervoso per voci femminili, cellulare ed ensemble strumentale)
testo di Sandro Cappelletto - musica di Ruggero Laganà

Ho sdoppiato la voce in recitazione e canto. Situazione tipica dell’attualità: donna restata sola che, al cellulare, si lamenta di tutto, delle ragazze che si susseguono come domestiche, degli ex-fidanzati, delle vacanze imminenti che non sa con chi e dove fare... in un ininterrotto flusso di parole bruscamente interrotto da una sorpresa finale non proprio piacevole. La cantante (sua voce interiore) intona e sottolinea solo alcune parole di tale flusso amplificandone il senso. Con la musica mi diverto a commentare, a marcare l’essenziale di questo fiume verboso di strampalata comunicazione, a riderci amaramente un po’ sopra e a rendere estraniato tutto il pathos della telefonata per quello che è: uno sfogo un po’ isterico, un po’ delirante, di una “piccolo borghese”, cittadina, schiava del consumismo e inguaribilmente alienata. E’ apparentemente il contrario della telefonata drammatica, sempre di una donna che sta per essere abbandonata, della Voix humaine di Jean Cocteau (musicata da Poulenc), ma nello sconclusionato, nervoso sproloquio detto, sussurrato, urlato al cellulare si sente un vuoto che ci ricorda molte situazioni dell’oggi e che, se fa sorridere, ci intristisce comunque un po’.
Durata 20 minuti circa

Sandro Cappelletto






sabato 28 settembre 2013

IN SCENA! 2013 - 1° CONCERTO

“HISTOIRE DU SOLDAT”

7 ottobre 2013 – Teatro Vittoria, Torino


ORE 10.30 spettacolo per le scuole – ORE 21.00 spettacolo per tutti

IGOR STRAVINSKIJ
 (1882-1971)

HISTOIRE DU SOLDAT

Fiarì Ensemble
Gianluca Calonghi clarinetto, 
Elvio Di Martino fagotto, 
Ivano Buat tromba
, Corrado Colliard trombone, 
Paolo Volta violino, 
Paolo Borsarelli contrabbasso, 
Riccardo Balbinutti percussioni

Marilena Solavagione, direttore


con la partecipazione di Mario Brusa, voce recitante
 
Stravinskij e Ramuz

La genesi di Histoire du soldat è strettamente legata agli eventi della Prima Guerra Mondiale. Igor Stravinskij, dopo i successi parigini de L'uccello di fuoco, Petruska e La sagra della primavera, si era ritirato con la famiglia in Svizzera e dovette far fronte alle ristrettezze economiche del periodo bellico. La necessità di guadagnarsi da vivere aguzzò l'ingegno del compositore, grazie anche alla collaborazione con il letterato svizzero Charles Ferdinand Ramuz. I due amici ebbero l'idea di creare uno spettacolo con pochi mezzi teatrali e musicali, facilmente trasportabile per città e villaggi. Dunque non un'opera né un balletto, ma più semplicemente una storia da "recitare, suonare e danzare". La scelta del soggetto cadde su un racconto di Afanasiev, che narra la storia di un soldato disertore che stringe un patto con il diavolo. La semplicità della trama richiama l'idea di un racconto morale, dove l'anima del protagonista è simboleggiata dal suo violino, ripetutamente perso e riconquistato. Si tratta di un tema - quello della responsabilità dell'uomo nei confronti del proprio destino - su cui Stravinskij sarebbe ripetutamente tornato: da Jeu de cartes a Oedipus rex, per finire con quel capolavoro della maturità che è La carriera di un libertino.

La versione originale di Histoire du soldat prevede tre ruoli recitati (Narratore, Soldato, Diavolo) e due ruoli danzati (Diavolo e Principessa) e dà indicazioni piuttosto precise su scenografia e costumi. Per il presente spettacolo abbiamo optato per una soluzione più snella grazie alla capacità affabulatoria di Mario Brusa che incarnerà tutti e tre i ruoli recitati.

La trama

Mentre sta tornando a casa in licenza, un soldato incontra il diavolo (nei panni di un vecchio signore con retino acchiappafarfalle) e viene da questi convinto a barattarlo con un libro magico in grado di predire il futuro, procurando così ricchezza. Il soldato dovrà restare con il diavolo tre giorni per insegnarli a suonare il violino. In realtà, senza accorgersene, il soldato non rimane con il diavolo tre giorni, bensì tre anni, e una volta ritornato al villaggio natio la madre non lo riconosce e la fidanzata si è sposata. Gli ricompare il diavolo (ora nelle vesti di un ricco mercante di bestiame), che lo incita ad usare il libro magico. Il soldato è ora ricco, ma infelice. Ancora una volta riappare il diavolo, vestito da vecchia mendicante, con il violino, ma il soldato si rende conto che non è più in grado di suonarlo, si infuria e rompe il libro in mille pezzi.

Il soldato si rimette in cammino e giunge in un regno il cui re ha promesso in sposa la propria figlia a chi riuscirà a guarirla da una misteriosa malattia. Anche il diavolo si trova in questa città, in veste di elegante violinista. Il soldato lo sfida a carte, lo fa ubriacare e riesce così a recuperare il violino. Con esso si reca al capezzale della principessa, suona tre danze (Tango-Valse-Ragtime) che guariscono la malata. Ricompare il diavolo, questa volta proprio nelle sue peculiari vesti di diavolo, ma il soldato lo costringe a ballare al suono del violino, fino a che cade esausto. Il soldato e la principessa si sposano, ma sulla loro felicità grava la maledizione del diavolo, che si attuerà nel caso abbandonino il loro regno. Quando la nostalgia e il desiderio della principessa di conoscere la madre e il villaggio dello sposo li condurranno oltre i confini del regno, infatti, per l'ultima e definitiva volta ricompare il diavolo, che al suono del violino trascina con sé il soldato.

sabato 21 settembre 2013

MUSICHE AL PRESENTE

A Torino, 5 associazioni per 54 concerti.
All'interno del cartellone troverete anche i concerti di IN SCENA! 2013.



domenica 23 giugno 2013

IN SCENA! 2013

Sul nostro sito è stato pubblicato il cartellone della nuova rassegna!

giovedì 22 novembre 2012

IN SCENA! 2012 - QUARTO CONCERTO


MEDITERRANEO

Nel periodo tra il 1923 e il 1929, durante il quale vide la luce il Concerto per clavicembalo e cinque strumenti, Manuel de Falla si era ampiamente affrancato dall’influenza estetica di Claude Debussy e Maurice Ravel, suoi primi numi tutelari, a favore di una scrittura aspra e scarna, più vicina allo Stravinsky dell’Histoire du Soldat e della Sinfonia per strumenti a fiato, oppure allo Schönberg della Kammersymphonie op.9. Anche l’impiego del clavicembalo (ma il brano può essere tradizionalmente eseguito anche con il pianoforte), suggerito dalla virtuosa Marta Landowska che già prese parte alla prima del Retablo de Maese Pedro, sembra rimandare più alla musica del cinque-seicento che a quella barocca. Il brano è in effetti una riflessione sulla storia della musica spagnola, in un contesto neoclassico: il primo movimento è infatti costruito sul villancico cinquecentesco “De Los Alamos vengo, madre”, il secondo sul “Tantum ergo” di Luis de Victoria, mentre il terzo, unico movimento nel quale la parte del solista reca ornamentazioni tipiche del barocco, come trilli e mordenti, è una rielaborazione di De Los Alamos in chiave scarlattiana.

Plektó, titolo del brano composto dal greco Iannis Xenakis nel 1994, significa “trecce”, in questo caso intese come intreccio contrappuntistico di linee melodiche, ritmi e timbri. Nella composizione, infatti, si assiste via via alla giustapposizione di singole linee melodiche a materiale accordale. In aggiunta, a volte l’ensemble è diviso tra archi e fiati, altre volte il flauto è accoppiato al violino, e il clarinetto al violoncello. Il pianoforte serve da sostegno agli altri strumenti, con le percussioni impegnate a contrappuntarne e in un certo qual modo confonderne la linea ritmica. Come è tipico delle composizioni dello Xenakis più tardo (il compositore morirà infatti nel 2001 a 79 anni), il tempo generale è molto lento, rendendo assai difficile la percezione delle lunghe arcate melodiche. Nel finale, addirittura, ogni esecutore suona ad un tempo differente, ma in precisa relazione ritmica con gli altri strumentisti.

Così scrive Francesco Antonioni a proposito del suo Macchine inutili: “Di solito lo scopo di una macchina è quello di essere un mezzo per semplificare qualcosa: la leva, l’automobile, gli elettrodomestici sono delle macchine semplici oppure molto complicate che ci semplificano la vita. Qualche volta accade che le macchine perdano quasi del tutto di vista il loro scopo e diventino in sé oggetti di grande interesse, come succede alle automobili d’epoca, o ai computer. Progettare invece marchingegni di nessuna utilità pratica, elaborati, e tuttavia senza scopo, è una mansione che, per quanto possa essere per alcuni divertente, sembra priva di senso, e secondo la maggior parte delle persone, rasenta l’assurdo. Solo la bellezza dell’invenzione, da sempre giudicata inutile da chi pensa solo all’atto pratico, può riscattare il suo ideatore dall’ accusa di star sprecando il proprio e l’altrui tempo. Le Macchine inutili sono fra le prime opere del designer Bruno Munari (1907-1998), che in un orizzonte allora dominato dal futurismo italiano e dal surrealismo francese, dette questo nome provocatorio ad alcune speciali sculture sospese in movimento eteree ed evanescenti, cronologicamente antecedenti ma simili a quelle, per la verità più famose, di Alexander Calder. Più che la loro consistenza quasi impalpabile, il titolo e l’idea retrostante di realizzare complessi marchingegni senza scopo apparente ha generato il progetto di comporre una serie di trasformazioni su di un motivo elementare, su cui giocare continue variazioni, e a cui opporre, per contrarietà quasi necessaria, l’entropia, tendente alla stasi, di lente parabole discendenti”.

Il maltese Ruben Zahra così illustra il suo brano Silk road suite per violoncello e percussioni: “ La strada percorsa da Marco Polo verso la Cina è storicamente conosciuta come Via della Seta. Questa suite è divisa in quattro movimenti che tracciano un viaggio musicale dalle spiagge e dai porti del Mediterraneo sino alle antiche città della Cina, oltre la Grande Muraglia. Nonostante la Via della Seta fosse troppo desolata per ospitare grandi popolazioni, piccoli gruppi di predoni riuscivano a sopravvivere assai bene raccogliendo acqua dai pozzi e occasionalmente ingaggiando una vera e propria Caccia nel Deserto per razziare beni e oggetti di pregio dalle carovane di passaggio. Prima di entrare nella città di Chiang-an attraverso la Grande Muraglia, i viaggiatori si trovavano nella fertile valle del fiume Wei, i cui campi sono resi gialli dal loess, la fine polvere che il vento trasporta dalle steppe del nord.”

La musica dell’algerino Salim Dada, compositeur en residence dell’ orchestra francese Divertimento, è un originale mèlange tra il linguaggio della musica classica araba (il compositore è anche un virtuoso suonatore di oud, il tradizionale liuto mediorientale) e le moderne tecniche compositive. L’innovativa fusione dà vita ad una musica innovativa e seducente, dallo sguardo rivolto al futuro. Su Lisse Strié, l'autore cita un brano dal saggio di Manola Antonioli, Géophilosophie de Deuleuze et Guattari, (Paris, L’Harmattan, 2003) a proposito di liscio e striato negli spazi architettonici e ambientali (concetti mutuati dalla fisiologia umana): “Nello spazio striato la misura può essere sia regolare che irregolare, ma è sempre determinata, mentre nello spazio liscio il taglio può essere effettuato dove si vuole. La differenza che separa questi due spazi è complessa: da una parte si tratta di un'opposizione semplice tra due ordini di esistenza (striato e sedentario/liscio e nomade), dall'altra questi due modi di occupare gli spazi esistono in funziono della loro reciproca mescolanza. Lo spazio liscio può sempre divenire striato, lo spazio striato è costantemente ridotto alla dimensione di uno spazio liscio e nomade. In entrambi gli spazi ci sono punti, linee e superfici, ma gli itinerari, le distribuzioni e le popolazioni di questi elementi differiscono.”

IN SCENA! 2012 - TERZO CONCERTO

 
EST

Dal 1977, anno della sua composizione, Fratres, una delle più conosciute creazioni dell’estone Arvo Pärt, è stato oggetto, da parte dell’autore, di moltissime strumentazioni differenti: dall’originale quintetto d’archi si passa, tra le altre, all’orchestra d’archi con percussioni, al quintetto di fiati, all’ottetto di fiati, a dodici celli, a violino o viola o violoncello e pianoforte… Strutturato su otto o nove (secondo l’orchestrazione) sequenze accordali separate da un motivo ritmico ricorrente, il brano è una chiara esemplificazione dello stile denominato da Pärt stesso tintinnabuli (dal latino tintinnabulum, campana), al quale il compositore era giunto dopo uno forte crisi artistica che lo portò, a metà degli anni ’70, a cancellare dal proprio catalogo tutte le opere precedenti Für Alina, prima composizione nel nuovo stile. Derivato dalle influenze della polifonia ortodossa, il tintinnabulum si basa su due voci fondamentali: la prima che arpeggia triadi di tonica e la seconda che si muove diatonicamente per gradi congiunti, donando alla musica un carattere arcaico ed ipnotico.

Musica ricercata, una delle prime opere di György Ligeti (data infatti 1951-53, nonostante la prima esecuzione sia del 1969), vanta il notevole primato, per un brano di musica contemporanea, di essere presente nella colonna sonora di due film di grande successo: Eyes wide shut di Stanley Kubrick (che già utilizzò altre composizioni di Ligeti in 2001: Odissea nello spazio, decretandone così la fama internazionale) e Shutter Island di Martin Scorsese. Nonostante il termine ricercata (o ricercare) si riferisca ad uno stile contrappuntistico, solo l’ultimo degli undici brevi brani per pianoforte solo è scritto in questa forma: di caratteri assai differenti tra loro i pezzi, infatti, testimoniano la ricerca di Ligeti di trovare un proprio originale linguaggio espressivo, e contengono in nuce idee che saranno sfruttate e messe a fuoco nelle composizioni future.

Il ceco Bohuslav Martinu compose la sua Sonatina per clarinetto e pianoforte nel 1956, quando già da tempo abitava negli Stati Uniti, a New York. Strutturata in un singolo movimento con tre distinte sezioni (Moderato, Andante e Poco Allegro), la Sonatina è ricca di ritmi di danza e di marcia, alternati a passaggi più lirici. Il linguaggio, che rimanda al neoclassicismo di Poulenc e Stravinsky riporta il compositore agli anni trascorsi a Parigi (1923-1940), e alla forte influenza che su di lui esercitò il cosiddetto “Gruppo dei Sei” (Auric, Durey, Honegger, Milhaud, Poulenc e Tailleferre).

Al contrario del brano di Martinu scritto in tarda età, il Trio per clarinetto, violino e pianoforte venne ultimato nel 1932 quando Aram Khachaturian era ancora studente presso il Conservatorio di Mosca. Il primo movimento è in stile zingaresco, quasi improvvisativo. Il materiale melodico è spesso ripetuto con ornamentazioni e piccole cadenze, creando un’atmosfera quasi ipnotica. Il secondo movimento inizia come uno scherzo, presto interrotto dall’irrompere di una melodia popolare in un tempo più calmo. I due temi verranno poi combinati, per chiudere ancora con lo scherzo. Anche il terzo movimento è basato su di un tema popolare: una serie di variazioni dello stesso portano al momento culminante, dopo il quale la musica scompare via via nel silenzio.